Supernews

ARTE – Jean-Michel Basquiat 

“Diventerò famoso, molto famoso.” Jean-Michel Basquiat 

Aveva poco più di 20 anni quando Jean-Michel ha iniziato la sua ascesa  nel mondo delle gallerie d’arte.  

Inizia da ragazzino con la storia segreta di SAMO, nome che imbratterà  tutte le metropolitane e gli edifici di Soho.  

Un ragazzo dalla vita sregolata, amato da tutti ma, con dei demoni interni  che non gli permettevano di fidarsi di chi gli stava attorno, arrivando a  pensare che tutti lo usassero per il suo enorme potenziale. Una pittura  simbolica, immagini ricorrenti all’interno dei suoi quadri ai quali molto  spesso non gli viene attribuita la giusta importanza. 

La sua aspirazione più grande era quella di conoscere Andy Warhol e,  dopo qualche anno di mostre sparse per il mondo, avviene il loro incontro.  Da quel giorno, la loro amicizia fatta di rispetto e amore durò fino a  quando durante l’ultima mostra dei due artisti la critica denominò Jean 

Michel come la “mascotte” di Warhol. Decretando la fine di un rapporto  proficuo per entrambi.  

Sicuramente il percorso artistico di Basquiat e la sua vita sono lo specchio  del mondo dell’arte del XX sec. Jean-Michel fin da piccolo ha le idee  chiare: vuole diventare famoso, molto famoso. Vuole ottenere quel  riconoscimento che nel privato gli è stato negato. 

Cerca fama, denaro ma soprattutto vuole lasciare il segno. Una vita sregolata, l’ascesa rapida e una prematura morte lo trasformano  in un mito. La sua pittura si collega a scene di vita quotidiana, fatti  realmente accaduti. Sono immagini che toccano la società odierna,  soprattutto per i temi trattati. Nelle sue opere ha combattuto diverse 

battaglie, toccando temi come: la violenza sugli afroamericani, la  schiavitù, i demoni interiori, le dipendenze, la morte, la vulnerabilità di  ogni singolo individuo e il sesso. 

Ci mette davanti realtà nude e crude, la sua volontà è quella di esplicitare  la verità sotto gli occhi di tutti senza filtri. Il tratto distintivo delle tele di  Basquiat sono i suoi simboli, una pittura simbolica, ricca di significato.  Sono figure ricorrenti che assumo una valenza differente a seconda del  quadro preso in analisi. Dicevano che usasse le parole come se fossero  pennellate.  

Un esempio do simboli ricorrenti nelle sue opere: le maschere tribali e le  teste nere nei suoi quadri sono il simbolo del riscatto “black”.  Basquiat racconta: “Per i bianchi ogni nero ha un potenziale coltello dietro  la schiena, e per i neri ogni bianco nasconde dietro la schiena una frusta.  Siamo nati con questo sentimento e negarlo è nascondere la verità, ora  dipende da noi superare tutto ciò, rilasciare la frusta, rilasciare il coltello.” Jean-Michel ha vissuto nel periodo dove le persone afroamericane non  venivano accettate così facilmente nella società, ha dovuto lottare in una  società di galleristi e collezionisti bianchi per affermarsi come artista nero. La lotta all’ affermarsi nella comunità per il giovane artista sarà un tema  che comparirà anche in alcuni dei suoi quadri e inserirà un simbolo che  poi gli darà la massima riconoscibilità nel mondo: la corona. La corona a  tre punte per Jean-Michel è simbolo di affermazione, supremazia e di  riconoscimento del proprio talento ma anche di eroismo e di regalità.  Diventa negli anni il suo simbolo di riconoscimento in quasi tutte le sue  opere, un tratto distintivo. Il teschio è simbolo della morte che incombe e lui lo inserisce in un autoritratto, mettendo nella testa dei punti di sutura  che si potrebbero collegare alle ferite della mente, prodotte da questa  realtà a cui lui non sente di appartenere e non si vuole scontrare in quanto  l’artista voleva rimanere sé stesso in una società corrotta, senza venire  ingabbiato o costretto a cambiare e adattarsi alle richieste esterne. Queste  ferite potrebbero essere prodotte anche dai ricatti dei mercanti d’arte che  non si curavano del pensiero di Jean-Michel e di ciò che poteva sentire in  determinati momenti o periodi della sua vita ma, si preoccupavano solo e  unicamente dei loro interessi.

Oltre alle battaglie sociali, Basquiat ha combattuto tutta la vita contro la  sua battaglia personale, i suoi demoni. 

Angoscia della solitudine, la paura di perdere la fama e il successo ma  soprattutto la dipendenza dalle droghe. L’opera che meglio incarna il tema  delle dipendenze e: Exu.  

Questo titolo prende il nome da un’antica divinità africana, Exu, legata  alla morte, ribelle, un angelo che può avere differenti significati. “Ognuno ha il suo Exu e deve affrontarlo per conoscere il bene e il male”. Il personaggio raffigurato è terrificante. Ci sono sigarette sparse in terra e  occhi che fissano il soggetto, metafora della dipendenza e dalla costante  attenzione dei mass media sull’artista. 

Non va scordato che anche il colore per i quadri di Jean-Michel ha  differenti significati.  

In molte sue esecuzioni c’è una forte presenza di nero, simbolo di  depressione, il rosso come passione o violenza come nel quadro LA  HARA, il blu è simbolo di tristezza e il verde di morte e rinascita. Ogni minimo dettaglio nelle opere di Basquiat ha la sua importanza,  niente è al caso. 

Si ricorda Jean-Michel nella società odierna per il suo forte impatto  emotivo, culturale. 

Con le sue battaglie, con la sua voglia di emarginarsi dalla società  capitalista e consumista. La voglia del cosiddetto riscatto “black”.

Nella società odierna i suoi quadri sono sia fonte di ispirazione per artisti  emergenti, sia fonte di racconto di un passato che dovrebbe cessare di  esistere. 

Da questo elaborato si è potuto constatare che Jean-Michel nel corso della  sua breve vita fosse accecato da questo desiderio spasmodico di  raggiungere la fama nel mondo dell’arte popolare. Partendo dai graffiti  realizzati a Soho, fino a giungere alle località artistiche più in voga negli  anni ’80. 

Si conclude con l’analisi dei simboli peculiari di Jean-Michel e della sua  arte, immergendo lo spettatore in una esperienza vicino al misticismo con  le dipendenze, la violenza, la morte, la schiavitù, il razzismo, il riscatto  “black” e la vulnerabilità dell’essere umano. Jean-Michel da bambino  disse che voleva diventare famoso, molto famoso e ci riuscì. Questo  insegna che se hai degli obbiettivi e non sei il primo a crederci non  arriverai mai a destinazione. Lui ha lottato per affermarsi e alla fine  nonostante tutto ce l’ha fatta.

Viola Guazzi

Supernews

ARTE – Artemisia Gentileschi

“Mostrerò cosa può fare una donna” così diceva Artemisia Gentileschi, figlia d’arte, nata a Roma nel 1593. 

È stata una delle prime donne che si è affermata nel mondo della pittura,  circondata da pittori importanti ma del sesso opposto.  

Non deve essere stato facile cercare di diventare qualcuno in un mondo  che non permetteva alle donne di frequentare scuole d’arte.  Ma lei ci riuscì lottando. 

La sua pittura viene associata alla pittura di Caravaggio, scuola  caravaggesca per la precisione. I suoi quadri avevano quel non so che di  teatrale come se ci fosse un faro che con l’occhio di bue illuminasse la  scena, come si fa a teatro. Tutte le sue opere erano cariche di  drammaticità, pathos e di espressività.  

La sua passione per l’arte è stata trasmessagli dal padre, Orazio. Un  pittore toscano. 

Fino all’età di 17 anni ebbe una vita tranquilla ma, in quell’anno accade  un fatto che le cambierà per sempre la vita. Verrà violentata da un amico  di Orazio, il quale non denunciò subito l’accaduto in quanto lui, le  propose un matrimonio riparatore, unico modo in quell’epoca per  restituire dignità ad una donna violata. 

Ma, si scoprì che lui era già sposato e così fu costretta a denunciare e  subire un lungo e umiliante processo. 

La violenza che ha subito la cambierà la vita per sempre tanto che durate  il processo e gli anni successivi Artemisia da vittima divenne donna dai  facili costumi.  

Nelle opere realizzate post-processo lei inizia a raffigurare Donne, con la  D maiuscola. Delle vere e proprie eroine di sé stesse. 

Tassi (l’amico del padre) viene processato un anno dopo l’accaduto e  costretto ad abbandonare la città, così anche Artemisia sceglie di  cambiare posto, per cominciare una nuova vita, senza abbandonare la sua  passione. 

Si sposta a Firenze come primo luogo di cambiamento, dove venne  ammessa alla Accademia delle arti del disegno (prima donna a venir  ammessa in una scuola d’arte) e, sempre a Firenze inizia a realizzare un  ciclo di opere dedicate a donne coraggiose, determinate e dedite al 

sacrificio come le eroine bibliche. Per citarne uno in questo caso il quadro  celebre dell’artista: Giuditta che decapita Oloferne 1612-1613. In questo quadro sembra che abbia raffigurato la vendetta su Tassi.  Ponendo la luce in modo incriminatorio sul corpo del decapitato,  aumentandone la drammaticità. Questo quadro divenne col tempo  un’icona, un simbolo, una condanna pittorica agli abusi, le violenze  verbali e fisiche le donne sono soggette a subire e inoltre l’episodio le ha  permesso di esorcizzare l’accaduto e raccontarci la sua tremenda vicenda.  Dopo qualche viaggio in giro per l’Italia decise di raggiungere il padre a  Londra nel 1638 presso la corte di Carlo I, iniziano così un progetto in cui  padre e figlia si ritrovano a collaborare. Questo progetto termina alla  morte del padre avvenuta un anno dopo l’arrivo di Artemisia.  La giovane artista morirà nel 1653 lasciando una quantità di opere  dall’inestimabile valore. 

Lascia anche il segno toccando la società odierna in quanto non si può  rinchiudere il talento in convenzioni sociali che servono solo a reprimere  sé stessi.  

Suo padre azzardava a dire che il talento di Artemisia era così unico che  non aveva rivali. Un padre sa il valore che ha un figlio ancor prima che gli  altri lo scoprano. 

Viola Guazzi