Scienza, Supernews

Felicia Kingsley scrive una lettera al Ministero della Salute e a Giorgia Meloni dopo la morte del neonato al Pertini

“Scrivo da donna, da libera professionista, da mamma perché la tragedia del Pertini di Roma mi ha fatto capire che non posso più tacere”. Inizia così la lettera aperta firmata dall’autrice romance Felicia Kingsley indirizzata al Ministero della Salute e al Presidente del Consiglio Giorgia Meloni.

Al centro della lettera il tema del parto e il “libero arbitrio della donna”. Concetto, questo, sviluppato dalla Kingsley in più punti-proposte.

Dalla possibilità effettiva di scegliere l’opzione “rooming-in“, all’epidurale, all’episiotomia. Sono molteplici i punti toccati e che ora attendono risposte.


“L’idea iniziale era scrivere a un giornale, ma non volevo che – poiché alcune testate sembrano essere ritenute di questa o quella parte – le mie parole fossero strumentalizzate politicamente. Il mio unico interesse è arrivare alle persone che possono davvero cambiare la situazione”, scrive la Kingsley sotto al post contenente la lettera che noi riportiamo integralmente.

Lettera al Ministero della Salute e al Presidente del Consiglio

Scrivo da donna, da libera professionista, da mamma perché la tragedia del Pertini di Roma mi ha fatto capire che non posso più tacere.

Poiché questo Governo ha espresso più volte l’intenzione di favorire le famiglie e la natalità, per sostenere davvero le prime e potenziare le seconde credo che si debba partire proprio dalle politiche sanitarie che riguardano la gravidanza, il parto e il post-parto.

In particolare, queste politiche devono rimettere al centro il libero arbitrio della donna, che troppo spesso le viene tolto in queste fasi delicate della propria vita, portando avanti l’obsoleta narrazione della madre-martire che deve soffrire, perché sempre così è stato.

Io stessa, sebbene assistita in quello che sono certa essere stato il meglio che poteva offrire la struttura in cui ho partorito, ho avuto la percezione di non essere più padrona del mio corpo.

Quando parlo di libero arbitrio, questo è ciò che intendo:

  • Partendo dall’attualità, che il rooming-in possa essere una scelta della puerpera, non della struttura (in teoria è già facoltativa, in pratica vieni spedita in camera con il bambino senza che nessuno si preoccupi delle condizioni in cui sei), e se la donna chiede che il neonato sia tenuto in nursery, non venga guardata con rimprovero né qualcuno cerchi di dissuaderla. Riconoscere di aver bisogno di riposo è una scelta responsabile.
  • Che l’epidurale sia garantita sempre ed effettivamente (tanti reparti sostengono di
    garantirla, ma solo a parole) e che sia praticata alla partoriente (se le condizioni cliniche lo consentono) quando la chiede, senza attendere che sia spezzata in due dal dolore.
  • Che l’episiotomia sia praticata quando necessario (dietro consenso) senza aspettare
    drastiche lacerazioni naturali difficili da suturare, in modo da restituire alla donna un apparato genitale esterno che possa farla sentire bene con sé stessa. È necessario riconoscere che la donna resta tale anche una volta diventata madre.
  • Che il taglio cesareo non sia sempre e solo una extrema ratio, e non puntare al parto naturale a ogni costo.
  • Che venga chiesto alla puerpera che tipo di allattamento preferirebbe condurre,
    artificiale o al seno, senza imporlo. Nel caso in cui scelga l’allattamento al seno, che sia assistita senza essere fatta sentire incapace, con pazienza e fornendole tutte le nozioni necessarie. Nel caso preferisca l’allattamento artificiale, nessuna opera di dissuasione o giudizio: è il suo seno, è il suo corpo, è il suo bambino.
  • Che ogni reparto di ostetricia disponga di uno psicologo che possa assistere al bisogno le puerpere in quello che è un momento di importante transizione, a rischio di depressione e paure. La serenità di una famiglia passa anche dal benessere mentale dei genitori.
  • Che le puerpere possano sempre fare una doccia quando ne sentono la necessità.
    Sembrerà assurdo ma molte riportano di non averne avuto la possibilità, costrette a
    restare sporche per giorni.
  • Che in ogni reparto di ostetricia disponga sia obbligatoria la presenza di una vending machine con bottigliette d’acqua. Per esperienza, nell’ospedale in cui ho partorito io, in reparto non era possibile avere una bottiglietta d’acqua al di fuori di quella del pasto, a meno che non la procurasse un parente in orario visita o scendendo al bar (non tutte le puerpere possono muoversi dal letto). Per fare latte, serve acqua. No acqua, no party.

Ho delle proposte come donna, non solo mamma.
Mi è stata diagnosticata l’endometriosi nel 2018 e dietro consiglio della ginecologa, come terapia, mi è stata prescritta la pillola anticoncezionale, salvo poi scoprire che non era coperta dalla mutua.
In Italia, l’endometriosi colpisce tra il 10 e il 15% delle donne, per loro la terapia non è una scelta è una necessità.

  • Per questo motivo la pillola anticoncezionale, quando prescritta come terapia di patologie diagnosticate, sia coperta dalla mutua.
  • Che l’organico di ogni ospedale pubblico includa almeno il 50% di medici non-obiettori di coscienza, così che l’interruzione di gravidanza sia sempre assicurata, quando richiesta. Le leggi dello Stato italiano non sono un menu à la carte da cui scegliere quali applicare e quali no, quando si esercita in una struttura pubblica.

Del “Si è sempre fatto così” si muore, e la lunga storia della maternità è lastricata di morti di madri o bambini, ma grazie al progresso, al buon senso e alla collaborazione, si può sempre fare di meglio.

Quando si decidono le best practice da applicare, è necessario poi il confronto con chi queste best practice le subisce, per capire se funzionino davvero, non solo in termini di bilanci e budget.

Oggi più che mai alle donne, a tutti, dev’essere sempre garantita la facoltà di scelta (effettiva, non solo teorica) libera da condizionamenti ideologici, perché nel 2023 la tutela del libero arbitrio è ciò che contraddistingue una democrazia.

Nella speranza che queste mie parole non cadano nel vuoto,

F.K.

Francesco Natale

Ambiente, Scienza

Tartarughe, la Lega Serie A e Legambiente a sostegno della campagna “Tartalove”

Un assist a favore della biodiversità. La Lega Serie A scende in campo per proteggere le tartarughe marine insieme a Legambiente

Per tutelare la Caretta caretta, la tartaruga marina più diffusa nel Mediterraneo, la Lega Serie A scende in campo durante la diciannovesima giornata di campionato, a sostegno della campagna Tartalove di Legambiente, che grazie a numerosi volontari e alla collaborazione dei pescatori di diverse marinerie italiane si prende cura delle tartarughe ferite curandole presso i Centri di recupero e soccorso di Legambiente per poi liberarle nuovamente tra le onde. Questi esemplari possono essere adottati simbolicamente su tartalove.it per contribuire concretamente alle spese necessarie per curarle e rimetterle in libertà in mare aperto. 

Durante le partite della diciannovesima giornata di Serie A TIM, dal 21 al 24 gennaio, negli stadi coinvolti verrà trasmesso sui maxischermi lo spot della campagna. Inoltre, nel momento iniziale di schieramento delle formazioni in campo, apparirà in televisione una grafica a sostegno delle tartarughe marine e dell’impegno di Legambiente per proteggerle. 

“Un assist per la biodiversità. Il sostegno della Lega Serie A alla nostra campagna Tartalove rappresenta un’opportunità straordinaria per le tartarughe marine e per la natura nel suo complesso – ha dichiarato il presidente di Legambiente Stefano Ciafani – Legambiente è da molti anni in prima linea nella tutela delle tartarughe marine anche tramite progetti europei come il Life Turtlenest, al via proprio in questi giorni, che coinvolge autorevoli partner italiani ed europei nella protezione dei siti di nidificazione della specie Caretta caretta nel Mediterraneo. Il coinvolgimento del mondo del calcio nelle battaglie ambientali consentirà di raggiungere un pubblico molto vasto diffondendo una maggiore consapevolezza sul valore della biodiversità, un patrimonio da tutelare con il contributo di tutti”. 

Le tartarughe sono tra i più affascinanti e amati, ma in mare e a terra per loro i rischi sono tantissimi: sono minacciate dai rifiuti abbandonati in mare che, scambiati per cibo, vengono ingeriti così come gli ami da pesca, possono essere ferite accidentalmente dalle imbarcazioni o restare impigliate nelle reti. 

Delle quasi 40 mila tartarughe marine che vengono pescate accidentalmente nelle acque del mar Mediterraneo ogni anno, si stima che siano almeno 10 mila quelle che non ce la fanno, mentre oltre il 50% di quelle che vengono recuperate e curate presso i centri di recupero, hanno ingerito rifiuti plastici di ogni tipo: dai frammenti di bottiglie ai sacchetti di plastica che spesso e volentieri vengono scambiati per meduse di cui le tartarughe sono ghiotte. 

“Per tutelare le uova e i piccoli che nascono sulle nostre spiagge è inoltre necessario monitorare i lidi durante la stagione estiva e proteggere attentamente i siti di ovodeposizione per evitare che vengano distrutti accidentalmente dall’impatto dei turisti con le loro attrezzature e dalla pulizia delle spiagge realizzata con trattori e macchine”, si legge in un comunicato stampa di Legambiente.

Redazione Supercultura